La
pubblicità comparativa,
ovvero quella che sfrutta il
confronto con una o più marche concorrenti
per promuovere un prodotto o un servizio, è ammessa in Italia da circa 20 anni.
Per la legge italiana e le norme Antitrust, fare pubblicità paragonando un brand, un prodotto o un servizio a quello dei competitor è lecito
a condizione che il messaggio non induca il consumatore in errore o non danneggi in modo sleale le altre aziende coinvolte.
Prima della direttiva comunitaria 2006/114/CE, in Italia e in molti altri paesi dell’Unione Europea non c’era una distinzione netta tra pubblicità ingannevole e pubblicità comparativa illecita. La pubblicità ingannevole era infatti considerata un aggettivo di quella comparativa illecita, per cui non poteva esserci pubblicità ingannevole se non attraverso il confronto scorretto e iniquo di prodotti e servizi.
È stata la Corte di Giustizia Europea a entrare nel merito della questione, stabilendo che la pubblicità ingannevole e quella illegittimamente comparativa sono due infrazioni autonome. È possibile quindi vietare e punire una pubblicità ingannevole anche quando non è di tipo comparativo.
La pubblicità i ngannevole è quella che:
– induce consumatori e imprese in errore, influenzandone le decisioni attraverso informazioni false, omissioni, ambiguità o esagerazioni
– pregiudica il comportamento economico dei destinatari
– danneggia un concorrente in modo sleale .
L’ente competente in materia di pubblicità ingannevole è l’
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM)
. L’AGCM definisce quali sono i casi di pubblicità ingannevole ed interviene per interromperla.
Dal 2005, se un’azienda si rifiuta di correggere la pubblicità ritenuta ingannevole, rischia la sospensione dell’attività di impresa fino a 30 giorni.
La pubblicità comparativa è corretta e inappuntabile quando un’impresa promuove i propri beni o servizi mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti in modo oggettivo.
Il problema nasce proprio quando l’oggettività del confronto viene a mancare . Un messaggio pubblicitario viene etichettato come illecito e può essere sanzionato se:
– è presentato in modo tale da generare confusione tra le imprese
– scredita uno o più concorrenti
– distorce in modo sleale le dinamiche competitive.
Un caso tipico di
pubblicità comparativa illecita,
identificato proprio dalla Corte di Giustizia Europea, è quello in cui si confrontano
prezzi, beni, prodotti o servizi di imprese di diverse dimensioni
.
Un confronto di questo tipo può essere fuorviante per il consumatore e sviare i clienti verso il concorrente sleale.
La risposta è sì: le regole sull’oggettività del confronto nei messaggi pubblicitari e il divieto di pubblicità ingannevole devono essere rispettati anche su Internet.
I nuovi strumenti pubblicitari online, come le campagne pay-per-click, usano spesso la leva della comparazione, che deve essere sempre corretta e leale.
Anche i cosiddetti social influencer, ovvero quegli utenti dei social network con molti follower pagati dalle aziende per diffondere messaggi sponsorizzati, devono permettere ai consumatori di riconoscere la natura pubblicitaria dei post e non influenzare slealmente i rapporti concorrenziali tra imprese.
Se vuoi approfondire il tema delle regole sull’influencer marketing in Italia, puoi leggere questo articolo .
Ritieni che la tua attività di impresa sia stata danneggiata da comportamenti di concorrenza sleale o dalla pubblicità comparativa o ingannevole?
In questi casi, puoi:
– agire davanti al Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria e richiedere l’eliminazione della pubblicità ritenuta ingannevole o illecitamente comparativa;
– rivolgerti al Giudice Ordinario ai sensi dell’art. 700 c.p.c. per ottenere un provvedimento urgente di inibizione della concorrenza sleale mediante illecito pubblicitario e avere riconosciuto l’eventuale diritto al risarcimento o indennizzo.
Se hai bisogno di assistenza legale, contattaci per una consulenza.
L'articolo Pubblicità comparativa illecita e pubblicità ingannevole: cosa dice la legge proviene da Studio Legale Palmigiano.